martedì 30 marzo 2010

GIURISTA PER CASO:LA CENSURA, L’ODIO E L’AMORE



L’Italia, si dice, è un paese di poca memoria, ma certamente una parte di essa sta nella Costituzione Repubblicana. Legge fondamentale, questa, che, dalle macerie del fascismo, ha provato a ricostruire le regole di convivenza e reciproca limitazione tra i poteri dello Stato e quelle tra questi e le libertà fondamentali del cittadino in modo che, dopo gli anni di fascistizzazione dei poteri dello Stato e dei suoi simboli, l’Italia potesse incamminarsi, finalmente, in un percorso di democrazia. Fondamentale in un paese che usciva dalla propaganda come strumento di comunicazione, tipico di ogni regime, è stata certamente la consacrazione del diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero e, soprattutto, i precisi limiti, consacrati nella norma superprimaria, attraversi i quali la stampa e ogni mezzo di comunicazione potesse essere sottoposto a censura. Sempre da giurista per caso e in estrema sintesi, può dirsi che il tema delle liberta ha una particolare valenza nell’ambito del diritto pubblico posto che queste rappresentano la codificazione e la delimitazione dei rapporti tra lo Stato autorità e il singolo cittadino e ciò spiega il motivo per il quale le moderne costituzioni abbiano espressamente affermato e consacrato le libertà dei cittadini. La puntuale affermazione di queste libertà nell’ambito della costituzione, non rappresenta, tuttavia, una mera enunciazione di principio ma, nel nostro ordinamento, ha portato ad una vera e propria autolimitazione dei poteri dello Stato che è costretto dalle norme positive a rispettare le libertà del singolo cittadino e a potere interferire sul loro esercizio nei modi previsti dalla legge. Ciò ha consentito, quindi, di individuare nelle libertà dei cittadini, e in quella di libera manifestazione del pensiero, un vero e proprio diritto inviolabile o diritto assoluto che è assistito da tutta una serie di garanzie nei confronti dei pubblici poteri che sono azionabili e reclamabili nei confronti dello Stato. In altri termini, la violazione di una libertà costituzionalmente prevista e riconosciuta al singolo cittadino legittima quest’ultimo a ricorrere ad un altro potere dello Stato quale la magistratura per sanzionare quella violazione eventualmente attuata da un altro potere dello Stato. Si comprende, quindi, che la previsione costituzionale di una libertà, vista in questa ottica, non si risolve in una enunciazione di principio per l’ordinamento ma limita in senso proprio l’esercizio dei poteri dello Stato. Il cittadino, quindi, nell’esercizio della libertà garantitagli e nella difesa di tale libertà è assistito da una serie di azioni possibili che lo pongono sullo stesso piano dei pubblici poteri, potendo ottenere la sanzione di un comportamento dello Stato per la salvaguardia della propria sfera di azione. Tali libertà, infatti, godono di un elevato grado di garanzia nel senso che esse possono essere limitate dalle pubbliche autorità nei soli modi e nei casi previsti dalla legge o a seguito di un provvedimento motivato dell’autorità giudiziaria che, chiaramente, agisce anch’essa nei modi e nei casi previsti dalla legge. Più in particolare per ciò che attiene alla libertà di informazione, la Costituzione Repubblicana all’art. 21, la Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo del 10 Dicembre 1948 all’art.19 e l’art 10 CEDU - Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, nonchè la Corte Costituzionale (ex plurimis Cort.Cost. 15-21 novembre 2000, n. 519) hanno affermato l’esistenza, non solo e non tanto, del diritto all’informazione, ma anche e soprattutto del diritto dei cittadini ad essere informati che, ovviamente, presuppone la pluralità dell’informazione con riferimento a tutti gli aspetti culturali del paese. Diritto quest’ultimo che evidentemente non può essere imposto per legge all’editore privato stante il limite dell’art.41 a mente del quale l’iniziativa economica privata è libera. Diverso è il caso della RAI il cui editore è lo Stato attraverso il Ministero del Tesoro. In altri termini se per l’editore privato (sia esso radiotelevisivo o di carta stampata) le leggi dello stato non possono e non debbono imporre alcuna completezza dell’informazione (intendendo per questa l’obbligo di informare gli utenti circa tutte le tendenze politiche, culturali ed economiche) ben potendo l’editore selezionare le informazioni da dare ( a parte i limiti della par condicio nell’ambito della comunicazione politica) , diverso è il caso dello Stato che si fa editore poiché lo Stato nelle sue articolazioni soggiace innanzitutto alla Costituzione Repubblicana che della legge rappresenta la norma superprimaria. Piaccia o meno agli eletti dal popolo (sic ndr), l’editore della RAI (finanziata dai cittadini non solo per il canone ma soprattutto perché l’azionista è lo Stato cioè l’ente che incamera le entrate tributarie dei cittadini e successivamente le redistribuisce in attività, investimenti e servizi) cioè lo Stato è soggetto alla Costituzione Repubblicana e nell’esercizio della informazione deve rispettare i principi propri dell’art. 21 Cost, lato passivo, cioè il diritto dei cittadini ad essere informati. Questa è in estrema sintesi la situazione giuridica dei diritti degli utenti RAI e dei giornalisti RAI e, in nessuna norma di legge si troverà scritto che questo diritto costituzionale possa essere delimitato o mediato dai partiti politici che, viste le percentuali dei votanti, rappresentano solo una parte (seppure maggioritaria) dei cittadini italiani. In altri termini nella Costituzione non vi è distinzione tra amore e odio né una strettoia per cui lo Stato possa con la sua televisione limitare l’informazione a ciò che dettano i partiti politici dovendo invece cercare di informare su ciò che accade nella totalità dell’universo dei cittadini. Emblematica in questa direzione è l’enorme numero di utenti televisivi ( circa 5-6 milioni di persone dati non contestati) che settimanalmente segue Annozero il cui messaggio culturale a più voci e la cui informazione quasi sempre descrive un paese diverso da quello riassumibile nelle dichiarazioni di ogni leader politico. Esiste, infatti, in Italia un numero cospicuo di persone ( circa 15 milioni) che non esprime un voto politico non scegliendo tra bianchi e neri, tra guelfi e ghibellini, che, allo stesso modo, ha diritto di essere informato e di manifestare liberamente il proprio pensiero anche attraverso la scelta di un tipo di informazione assolutamente fuori dal coro. A chi ritiene di poter sempre decidere non solo all’interno dei poteri che la legge gli assegna bisognerebbe ricordare che una cosa sono i diritti riconosciuti dalla legge altro è l’appartenenza politica.

Francesco Siciliano

lunedì 15 marzo 2010

GIURISTA PER CASO

Giurista per caso la l. Digna vox, il caos liste e il decreto legge del governo.

Sulla scorta degli ultimi accadimenti proverò da quisque de populo e giurista per caso a fare alcune considerazioni sul decreto salva liste. La l. digna vox è una costituzione di Valentiniano III (C. 1, 14, 4) diretta al prefetto del pretorio Volusiano ed è databile a Ravenna 11 di giugno del 429. Si tratta di un editto dal quale la l. digna vox fu smembrata dai compilatori giustinianei per essere posta, come espressione di un principio fondamentale, sotto il titolo XIV, de legibus et constitutionibus principum, del libro I del Codex. Il principio che si voleva esprimere, quale superamento del princeps legibus solutus, era quello che quando produce editti, leges edictales, pragmatiche generali, l’imperatore è legislatore: può modificare e abrogare le leggi esistenti. Quando la norma giuridica però è stata creata, neppure al principe è lecito violarla per privilegiare a danno di altri una posizione individuale. Anche il principe, quindi, è soggetto alla legge. Insomma dopo anni in cui il Principe era stato legibus solutus e, ad esempio, anche nella costruzioni della sua città non doveva badare al diritto quanto mostrare con le opere urbanistiche la sua potenza ed importanza, a leggere i commentatori, sembra che a partire proprio dal richiamato editto, si pensò, invece, che era degno del principe di volersi considerare assoggettato alle leggi, poiché la sua autorità derivava dall’autorità del diritto, e sottomettere il potere alle leggi significava accrescere e non diminuire la sovranità (maius imperio est submittere legibus principatum). Il sistema delle limitazioni del potere (ciò che potrebbe definirsi costituzione) risiedeva, quindi, nella volontà del potere di conformarsi al diritto, in una sorta di generale e preventiva autolimitazione, «proclamando quel che il potere non considera lecito a se stesso» (quod nobis licere non patimur). Eravamo proprio nel medioevo, tempi nei quali, sembra, si disquisiva della necessità di mediare tra l’assolutismo del princeps legibus solutus e un nuovo principe conforme e sottoposto al diritto. Per tornare al senso di questo scritto, è invece utile tratteggiare il percorso inverso seguito dal legislatore italiano moderno con riferimento ai noti fatti inerenti il caos della presentazione delle liste e l’intervento del governo con il c.d. decreto salva liste. Sul punto basti osservare che nel dibattito parlamentare dei lavori dell’assemblea costituente si è molto discusso circa l’abolizione della figura del decreto legge poiché durante il ventennio fascista, ammontarono a ben 30 mila i decreti-legge emessi dal Governo, alcuni dei quali perfino per la nomina di qualche impiegato. Su tale base, nella discussione parlamentare costituente sull’art. 77, Costantino Mortati ((Corigliano Calabro, 27 dicembre 1891 – Roma, 25 ottobre 1985) proponeva di restringere la loro applicabilità alla guerra ed ai decreti-catenaccio; in qualità di Relatore dichiarava che la potestà legislativa del Governo“…. ingenera da una parte la tentazione (da parte del Governo) di abusarne per la più rapida realizzazione dei fini della sua politica; dall'altra parte, vorrei dire, eccita la condiscendenza del Parlamento, il quale tende a scaricarsi dei compiti di sua spettanza”. La materia quindi aveva trovato nei nostri padri costituenti viva preoccupazione e alla fine si era stabilito, comunque, che la figura del decreto legge fosse usata con molta circospezione. Nell’Italia Repubblicana, svanite le preoccupazioni dei Costituenti e, stante la previsione della Corte Costituzionale quale organo di tutela, si è, tuttavia, assistito da un certo momento in poi, mi sovviene l’amaro Ramazzotti, ad un uso vistoso della decretazione d’urgenza che di fatto ha forzato lo spirito della Costituzione esautorando spesso la funzione legislativa del Parlamento. Impressiona, tuttavia, da giurista per caso, la vicenda del decreto salva liste del Governo. Sul punto l’esecutivo, con decreto, ha dettato norme di interpretazione delle regole per la presentazione delle liste e, per ciò che più interessa, ha dettato una sorta di norma transitoria del decreto legge di interpretazione autentica (!): “4. Le disposizioni del presente articolo si applicano anche alle operazioni e ad ogni altra attivita' relative alle elezioni regionali, in corso alla data di entrata in vigore del presente decreto. Per le medesime elezioni regionali i delegati che si siano trovati nelle condizioni di cui al comma 1 possono effettuare la presentazione delle liste dalle ore otto alle ore venti del primo giorno non festivo successivo a quello di entrata in vigore del presente decreto. Sommessamente viene da leggersi la Costituzione ((Modifica dell'articolo 122 della Costituzione) 1. L'articolo 122 della Costituzione è sostituito dal seguente: "Art. 122. - Il sistema di elezione e i casi di ineleggibilità e di incompatibilità del Presidente e degli altri componenti della Giunta regionale nonchè dei consiglieri regionali sono disciplinati con legge della Regione nei limiti dei princìpi fondamentali stabiliti con legge della Repubblica, che stabilisce anche la durata degli organi elettivi. Nessuno può appartenere contemporaneamente a un Consiglio o a una Giunta regionale e ad una delle Camere del Parlamento, ad un altro Consiglio o ad altra Giunta regionale, ovvero al Parlamento europeo. Il Consiglio elegge tra i suoi componenti un Presidente e un ufficio di presidenza. I consiglieri regionali non possono essere chiamati a rispondere delle opinioni espresse e dei voti dati nell'esercizio delle loro funzioni. Il Presidente della Giunta regionale, salvo che lo statuto regionale disponga diversamente, è eletto a suffragio universale e diretto. Il Presidente eletto nomina e revoca i componenti della Giunta". Non siamo più nel medioevo……………………………

Francesco Siciliano

venerdì 5 marzo 2010

IL CARISMA E IL DONO DELLA PRIMAVERA CALABRESE

“La Calabria si sgretola” era il titolo del Quotidiano della Calabria di qualche giorno fa, il senso di impotenza mista a rabbia, di immagini apocalittiche di una regione in ginocchio che, giorno dopo giorno, quasi in un bollettino di guerra, si sgretola sotto piogge torrenziali . A ciò va aggiunto che la Calabria non si sgretola solo geologicamente perché negli ultimi anni abbiamo subito tante alluvioni che hanno provocati non solo smottamenti e frane. Titoli su tv e media nazionali hanno individuato, senza tema di smentita, malasanità, razzismo, comitati di affari, storie di ndrangheta. La Calabria, insomma, è stata innondata in questi anni da alluvioni di fango che, a volte a torto, hanno sommerso non solo case e frazioni intere, ma anche professioni, istituzioni, donne e uomini calabresi. Chi non ricorda il “black out” di Federica, chi ha dimenticato i ragazzi in corteo nelle città calabresi al grido di “ammazzatecitutti”, chi non ricorda Cosenza invasa da cittadini, passeggini, bambini, e qualche avamposto con la toga e il bavaglio in segno di lutto. Sulle foto ormai ingiallite ricoperte da un po’ di polvere, chi vuole, può rivedere fotogrammi di tutto questo. Chi ha voglia può riprendere il proprio personalissimo album e rivedere le foto di una società che aveva deciso di dire basta, ma soprattutto può rivedere tante persone di quelle professioni, di quelle istituzioni, pulite ed educate, manifestare la loro voglia di dimostrare che, no, la Calabria è anche e in maggior misura altro. La primavera calabrese la chiamavano i media locali e non. La primavera, si sa è una stagione, ma in quella stagione c’era la voglia e la rabbia di molti di portare il proprio dono, il carisma di accadimenti che elevavano ogni calabrese silenzioso a protagonista. Il dono era “quel fresco profumo di libertà” che saliva dalle persone verso le istituzioni, verso i media, verso l’opinione pubblica nazionale. Adesso ammazzatecitutti, trasferitecitutti, indagatecitutti. Questo gridavano molti calabresi: giovani, adulti, operai, professionisti, uomini delle istituzioni; tutti quelli che in qualche modo volevano dire io non ci stò. Alluvionati dal fango delle tragedie anche sociali e dai riflettori puntati su quelle, molti di noi volevano, indipendentemente, dalle posizioni politiche e personali, dire soltanto: io mi sento altro da quello che si descrive, sono solo calabrese. L’alluvione di fango schizzava su un sistema che, dicevano, aveva retto , reggeva e regge la vita pubblica calabrese in cui un posto in prima fila lo occupa la “malapianta”. Si era mossa la società civile, sciolta, indistinta, disaggregata. Qualcuno aveva provato politicamente a cavalcare l’onda prendere la testa del corteo ma era stato decisamente disarcionato e ricacciato nel gruppo. Questo perché non eravamo gli scontenti della società civile eravamo soltanto parte della società civile. Il protagonista doveva essere il gruppo non un movimento politico non un personaggio. Non c’era il carisma, chiunque fosse stato alla testa del corteo, non poteva portare il dono che quella primavera voleva, l’affermazione della propria cittadinanza italiana; nell’ombelico del mondo la legalità come regola non come eccezione. In quel gruppo non c’era nulla di quell’atteggiamento contemplativo ed indolente che alcuni intellettuali definiscono nota caratteristica dello spirito meridionale; non c’era nulla di quello che, raccontano, sia il tratto tipico del calabrese con il cappello in mano. In quella massa indistinta c’erano i germi del cambiamento. Non so chi pensasse di mutare lo status quo; certamente molti pensavano di dire che esiste molto altro in Calabria. Non so chi ritenesse di ottenere un posto al sole, io so, però, che quasi tutti affermavano la necessità che sotto i riflettori andasse l’altra Calabria quella della quotidianità ordinata e diligente; quella della passionalità; quella che è unita all’Italia nella voglia di non subire le scelte dall’alto della società politica. E la primavera calabrese ha scoperto di averli trovati i riflettori: le citazioni di Benigni, i media nazionali, gli speciali in Tv, splendide professionalità autenticamente calabresi, finalmente, in primo piano. La Calabria vera in primo piano. Una parte di noi lì sul palco. Poi è arrivata l’estate che, si sa, a queste latitudini brucia molto, crea afa e tanti, non abituati alle alte temperature, hanno cercato refrigerio sotto l’ombrellone, si sono rifugiati all’ombra riparandosi dall’afa. Per tanti non restare sotto il sole cocente, tuttavia, non è stato rinnegare l’impegno quanto tornare alla propria quotidianità sapendo di avere fatto la propria parte; poi si sà non tutti siamo portatori di doni, biblicamente c’è chi fa visita e chi porta i doni. In queste situazioni di impeto emozionale, che per dirla con Freud derivano dalla pulsione dell’uomo all’inciviltà (l’insofferenza alle regole imposte), però si riconosce il carisma (il riconoscimento di uomini espressione di un nuovo ordine, nuove regole) e ci si attende il dono e, quindi, tornando all’ombra si è convinti, che il dono comunque arriverà. Anche perché si è detto che gli uomini passano, le idee restano. Restano le loro tensioni morali e continueranno a camminare sulle gambe di altri uomini. Invece le stagioni sono ciclicamente cambiate e le altre primavere non hanno portati i frutti di quei germogli. E’ arrivato altro fango, drammaticamente, dai dissesti di un territorio a rischio, colpevolmente scempiato da speculazioni e colpevolmente non protetto da adeguati interventi di prevenzione. Ora si sceglierà di nuovo chi avrà la responsabilità di programmare interventi sulla società, sulla formazione, sul territorio, sul progresso della Calabria. Si riconoscerà, forse, nuovamente carisma e, si pensa, arriveranno anche i doni ma quel che è certo però è che la primavera tarda ad arrivare ………..
Francesco Siciliano

martedì 2 marzo 2010