giovedì 27 gennaio 2011

LA PROVOCATIO AD POPULUM. MA GIANFRANCO NON AVER PAURA……………………

Tra le tante bellissime canzoni di Francesco De Gregori c’è ne è una che recita nino non aver paura di sbagliare un calcio di rigore non è da questi particolari che si giudica un giocatore, un giocatore si vede dal coraggio, dall’altruismo e dalla fantasia. Sarebbe forse il caso che il Presidente Fini riascoltasse La leva calcistica del 68 dedicata a Bruno Conti, minuta ala destra, diventata Campione del Mondo nell’82, forse anche per il suo coraggio, per l’altruismo e per la fantasia. Il calcio di rigore ormai è stato sbagliato, non so se è finito sul palo o fuori o addirittura è stato tirato in bocca al portiere, certo è che è stato sbagliato, ma il giocatore non può perdere il coraggio e la fantasia perché la lotta è impari e solo queste doti elevano il giocatore. Fuori dalla metafora, raggiunta la maggioranza(?) alla Camera dei Deputati, grazie al salvifico apporto del voto del Presidente Berlusconi, oltre che di quello dei noti “responsabili” Scilipoti & Co., tutto sembra d’incanto tornato al suo posto: il Ministro Avv. Maria Stella Gelmini, esperta di problematiche attinenti alla professione forense in Italia, anticonformista nell’emigrazione intellettuale, ha definito falsità alcune argomentazioni giuridiche del Prof. Rodotà che, purtroppo docente a La Sapienza e non a Brescia, stava argomentando sul legittimo impedimento ex lege inquadrandolo nella categoria delle immunità. Certo Rodotà nella dottrina giuridica è maggiormente noto per alcuni saggi sulla figura dell’espromissione e dell’accollo, essendo docente di diritto civile, oltre che altri sui diritti civili ma nessuno può dubitare della sua altissima competenza scientifica relegata dal Ministro nella categoria del comunista antiberlusconiano. Uno dei grandi mali di questi anni 80bis è stato ed è certamente quello della mistificazione dei fatti e dei ruoli: in altri termini tutto è divenuto contrapposizione politica per cui anche un ragionamento strettamente tecnico sulle prerogative del Presidente del Consiglio nel quadro dell’impalcatura Costituzionale non viene mai affrontato ed, eventualmente, confutato attraverso un contrapposto argomentare tecnico giuridico, ma attraverso le categorie del comunista e antiberlusconiano. Spiace che ciò possa accadere da parte di chi è laureata in legge perché, a parte l’ovvia disparità scientifica tra un laureato e una nota dottrina giuridica ( mi riferisco a Rodotà), da una persona del settore ci si aspetterebbe una discussione giuridica o, comunque, rispettosa degli argomentati giuridici posti. Ma questi anni 80bis sono gli anni caratterizzati da uno scontro simbolicamente molto nefasto tra il leaderismo carismatico Presidente del Consiglio e gli altri poteri dello Stato: il Presidente , infatti, basandosi sugli italiani che sono con lui il Presidente dell’esecutivo attacca quotidianamente l’ordine giudiziario, così come, la Corte Costituzionale che dovrebbe essere il luogo asettico e impenetrabile dove le migliori menti giuridiche valutano della costituzionalità delle leggi e, nel rispetto del principio di uguaglianza, anche delle leggi che se cassate possono avere ripercussioni sul quadro politico. Ma di questi anni 80bis resterà certamente scolpito nella memoria un nuovo capolavoro giuridico che è la riviviscenza, seppure in una edizione riveduta e corretta, di un istituto del diritto romano denominato PROVOCATIO AD POPULUM. La provocatio ad populum è un istituto del diritto pubblico romano, introdotto dalla Lex Valeria de provocatione del 509 a.C. (rogata dal console Publio Valerio Publicola) ed applicato in particolare nel periodo repubblicano. La misura fu in una prima fase applicabile solo per condannati a morte della classe patrizia. Successivamente furono ammessi anche i plebei. Del resto la composizione dei comizi centuriati che vedeva una forte sperequazione censitaria delle attribuzioni delle centurie tra le cinque classi ed il sistema di votazione che vedeva chiamate al voto le centurie a partire dalla prima classe, rendeva la provocatio ad popolum come strumento in mano alle classi privilegiate. In altre parole nella Roma Antica, innanzitutto i patrizi, avevano il diritto di sottrarsi e/o ribaltare le decisioni dei magistrati attraverso il ricorso al popolo. In questi anni 80bis infatti, contro le inchieste e i processi della magistratura, si è assistito costantemente al giuramento di innocenza di indagati notabili ( cosa legittima ma priva di valore giuridico) ma soprattutto, si è sempre sentito l’argomento del valore della scelta del popolo rispetto all’esercizio della giurisdizione. In altri termini, si è detto che la scelta del popolo di eleggere i propri rappresentanti dovesse essere un valore giuridico in grado di sovvertire e/o impedire l’esercizio dell’azione penale. In questo desolante quadro il principio di legalità dell’azione amministrativa previsto in Costituzione ( e si badi bene che per pubblica amministrazione si intendono anche gli organi politici che della pubblica amministrazione quali legislatori, amministratori, ministri ecc.), spesso richiamato ed invocato finalmente anche dal Presidente Fini e da Futuro e Libertà ha riscaldato i cuori di tutti quelli che in qualche modo ritengono che la legalità sia una precondizione di uno stato democratico. E’ ovvio che la battaglia è impari poiché impari sono i mezzi a disposizione. E’ altrettanto ovvio che in un sistema che ha di fatto sostituito la democrazia acefala in cui vi sono al massimo un primus inter pares, in una democrazia leaderistica in cui il leader ha, simbolicamente, licenza di prevalere e prevaricare ogni pares, la battaglia assomiglia a davide contro golia, ma in un tessuto sociale ormai eroso dal cancro del successo ad ogni costo, abbiamo bisogno di figure sobrie e di quivis de populo che si richiamano al concetto di legalità. C’è grande necessità dell’uomo qualunque che arriva al successo vivendo nelle regole e di figure apicali che fanno del richiamo alla legalità il loro compito quotidiano. Per un po’ in questo cammino si è sentito il richiamo del Presidente della Camera il quale tra titoli di prima pagina e l’errore dal dischetto è sembrato rientrare nella logica della politica tattica. Io credo sia necessario riavere richiami costanti alla legalità e mi viene da dire nino non aver paura di sbagliare un calcio di rigore …..un giocatore si vede dal coraggio dall’altruismo e dalla fantasia, infatti, Bruno è volato via sulla destra, ha percorso, senza paura, tutto il campo è ha dato ad Altobelli, appena entrato, la palla per entrare nella storia del Mondiale 82…………un giocatore si vede dal coraggio, dall’altruismo e dalla fantasia.

TU QUOQUE BRUTE FILI MI!

A proposito del compagno Fini e dintorni

L’accusa, per il Presidente della Camera, di essere diventato il compagno Fini è cominciata quando vi furono i primi distinguo su molti temi. Consumato lo strappo il compagno Fini è divenuto più semplicemente un congiurato e, a detta del Ministro Bondi, il figlio ingrato che si accanisce anch’egli con il coltello ( il riferimento è a Bruto presunto figlio di Cesare). L’ultima accusa si basa soprattutto su uno degli stracci che maggiormente vola su in questo periodo: l’On. Silvio Berlusconi ha sdoganato una parte di destra che mai, in assenza di Berlusconi, sarebbe potuta entrare nell’alveo dei partiti di stato e di governo, solo che lungo il cammino quella destra è divenuta comunista o forse peggio catto-comunista. Di tradimento avevano già parlato i colonnelli e di tradimento ha parlato anche Donna Assunta figura che, per quelli che appartengono all’area, ha grande significato. Insomma il Presidente Fini è divenuto per alcuni comunista, traditore, congiurato mentre per altri è rinsavito, fa tatticismi o peggio giochi da prima Repubblica. Sullo sfondo, ormai, Montecarlo o vicende intranee all’Egitto, la partita si è spostata sulle reciproche accuse e sull’ultimo colpo di scena: il possibile scioglimento della sola Camera dei Deputati. In questo groviglio che sarebbe molto più semplicemente definibile crisi politica della coalizione che ha vinto le elezioni, ognuno porta il suo contributo, il primo è di stampo elettoralistico : quanto peserà sull’elettorato di area il presunto atteggiamento di cortigiano di Fini, il suo tradimento della storia del MSI, il suo “comunismo” ( anche sulle pagine del Quotidiano nella rubrica di prima pagina si invitava Fini a dire qualcosa di destra) l’altra è la posizione di una questione costituzionale assolutamente inedita, forse, quasi, non immaginata, almeno in questa prospettiva dai Padri Costituenti. Sul tradimento mi sovviene una piccola pagina di storia che forse aiuta a capire che in realtà di tradimento, se il termine è consentito, si sarebbe dovuto parlare molto tempo fà. Spulciando negli archivi della rete può leggersi « Guai a lasciare ai sovversivi il monopolio della lotta al fascismo! Non solo si rischia che al momento dell'inevitabile crisi non vi siano di pronti che loro, ma si finisce col lasciar identificare nell'opinione pubblica antifascismo con comunismo, col risultato che chiunque ha interessi da difendere preferisce in ultima analisi rassegnarsi al fascismo. » . Questo è un testo rinvenibile in un bollettino quindicinale edito da un’associazione clandestina antifascista italiana, dal nome ALLEANZA NAZIONALE fondata dal poeta Lauro De Bosis nel 1930 (all’associazione aderirono tra gli altri Benedetto Croce e Umberto Zanotti Bianco; De Bosis, stesso fù poi protagonista di un episodio spettacolare in cui trovò la morte mentre altri furono incarcerati dal regime fascista) e tale richiamo evocativo della scelta di Fiuggi nonché i continui richiami a Benedetto Croce rappresentano forse un strappo e un “tradimento” maggiore di Fini rispetto alla sua area e alla storia di MSI. Insomma se di tradimento si tratta questo c’è stato nel momento in cui ci si è richiamati ad un’associazione clandestina di destra che voleva porsi a destra tra gli antifascisti. Fatte le dovute distinzioni storiche forse oggi i “Futuristi” si preoccupano di non lasciare agli antiberlusconiani della prima ora l’equazione antiberlusconiani-alternativa ponendo nell’opinione pubblica un dopo anche a destra. Questo argomento, però, ha un peso specifico anche sulla congiura e su TU QUOQUE BRUTE FILI MI, poiché, lo sdoganamento passa dalla scelta antifascista di Fiuggi mentre il governo dalla sola alleanza elettorale. Leggendo il Prof. Angelo Panebianco sul Corriere della Sera ho scoperto, mio malgrado, di essere, insieme ad altri a loro insaputa, un sostenitore della democrazia acefala che si contrappone al modello della democrazia leaderistica (modello evidentemente preferito dal Prof. nel fondo citato) e, in definitiva, a me pare che in realtà Fini non tradisca alcunchè ma si confermi nella scelta della democrazia acefala che andrebbe più tecnicamente definita democrazia parlamentare che è concetto statuale diverso dalla democrazia leaderistica in cui, evidentemente, i poteri sono maggiormente concentrati nel leader. Allo stesso modo, confesso di non essere un esperto, non mi è mai parso che Fini o i suoi abbiano mai detto cose di sinistra. La legalità non può certo dirsi un concetto non intrinseco alla destra liberale e costituzionale se è vero come è vero che lo Stato liberale seguito alla Rivoluzione Francese era uno stato basato sul diritto, sulla costituzione e sulla divisione dei poteri, tutti temi alla base dei distinguo degli ultimi mesi. Non bastasse il groviglio intricatissimo di tradimenti e riposizionamenti è arrivata l’ultima rivoluzione costituzionale degli ultimi anni. Dopo la decretazione d’urgenza contra legem, dopo la reiterazione di provvedimenti cassati dalla Corte Costituzionale, è arrivata l’ipotesi dello scioglimento di una sola Camera, cui è evidentemente non è connessa, almeno nelle intenzioni sensazionalistiche di chi la propone, la crisi di governo. Sul punto da giurista per caso va detto che se si dovesse definire il potere di scioglimento delle Camere da parte del Presidente della Repubblica (potere a cui è connessa una posizione centrale e di garanzia del Presidente rispetto al rapporto fiduciario tra Governo e Parlamento tanto che esso è previsto da un diverso e unico articolo – 88- rispetto a quello che prevede tutte gli altri poteri) esso è esclusivamente teso ad una “funzione di risoluzione di una crisi non altrimenti superabile del rapporto fiduciario” da ciò discende che a nulla rileva l’eventuale fiducia in un ramo del Parlamento posto che in un sistema bicamerale basta la mancanza di fiducia di una sola Camera per evidenziare una crisi del rapporto fiduciario tra Parlamento e Governo. Il caso ha un precedente seppure in un diverso regime normativo nello scioglimento del Senato del 1953 (Cfr. Guarino Lo scioglimento del Senato, FI, 1953, IV, 91 s.) che, tuttavia, si inquadra in un regime normativo che già di partenza prevedeva una diversa durata tra le due camere e, soprattutto, coincideva, in quel momento con la scadenza del mandato della camera giunta alla fine della legislatura. A sentire il Pres. Emerito della Corte Costituzionale Alberto Capotosti, insomma, l’ipotesi, tra l’altro di scuola, è solo quella di una impossibilità di funzionamento della Camera che, tuttavia, è cosa diversa dal problema del rapporto fiduciario con buona pace di chi ha evocato tale possibilità. In definitiva ciò che conta è la rottura del rapporto fiduciario tra il governo e la sua maggioranza a prescindere dalla contingenza dei numeri. Crisi di governo, quindi, con l’emersione anche di qualche nuovo leader come ad esempio Bocchino ma quello di Fli.

Francesco Siciliano

PENSIERI DI MEZZA ESTATE

Pensieri di mezza estate


Nei mesi trascorsi l’impegno civile ha portato molti come me, giuristi per caso, ad occuparsi di un lento processo di disgregazione delle regole costituzionali che la maggioranza governativa ha via via tentato di attuare attraverso lo strumento della legge ordinaria. Primo momento di passaggio di questo viatico è stato il c.d. decreto salva liste, materia di competenza regionale, regolata medio tempore (secondo le regole del decreto legge) da un provvedimento dell’esecutivo emanato nel settore elettorale pur se la legge regolatrice della decretazione d’urgenza governativa espressamente esclude proprio la materia elettorale. Altro punto nodale dello svuotamento per legge ordinaria delle garanzie costituzionali è il tentativo ancora potenzialmente in atto di limitare il potere di indagine della magistratura e il diritto all’informazione (attivo e passivo) attraverso l’invocazione di un tutela della privacy(rectius:riservatezza) dei cittadini quantunque si tratti di cittadini invasi dalle intercettazioni in occasione di indagini tese al perseguimento di reati penali. In tutti questi casi ciò che più di tutto ha turbato molti oppositori per caso – è la mia situazione – è stata l’assoluta mancanza di onestà intellettuale di molti messaggi mediatici e anche di molti messaggi veicolati da uomini delle istituzioni. In ogni tribuna televisiva visibile gli oracoli di ogni tendenza hanno veicolato al cittadino messaggi forvianti in modo da rendere plausibile ciò che in realtà non si sarebbe mai potuto dire chiaramente ai quivis di ogni parte d’italia: la legge non è più generale ed astratta ma particolare e concreta. Nei mesi trascorsi molti insigni giuristi e altrettanti uomini dell’informazione hanno spiegato con semplicità (speriamo ci siano riusciti) che il progetto di legge sulle intercettazioni non aveva niente a che fare con la riservatezza dei cittadini posto che il quisque de populo che si incolonna al mattino per raggiungere il proprio posto di lavoro, che durante il tragitto pensa alla rata del mutuo o alla bolletta del gas, poi al figlio che sta all’università, ecc… nulla ha da temere dalle intercettazioni ambientali o telefoniche perché al massimo può permettersi qualche svago sentimentale che, per essere scoperto, non necessità di intercettazioni ambientali bastando la normale curiosità degli altri e un po’ di sfiga. In questi ultimi mesi poi abbiamo assistito all’ennesimo miracolo politico di questo ultimo ventennio; nella desolazione di reali alternative di messaggi culturali e sociali, in un panorama cioè di appiattimento su un sentiero unico, la maggioranza di governo, come era già accaduto ai tempi dell’UDC di Casini e Follini, ha partorito la sua vera opposizione i Finiani. Qualcuno sostiene che sia tutta colpa di Bocchino che ha finito per essere una vera spina nel fianco dell’etica di governo, in realtà sembra si tratti di uno scatto d’orgoglio della parte di destra che ritiene che la legge debba essere necessariamente generale ed astratta. Ciò che conta però è che sentir dire che Paolo Borsellino è un eroe restituisce senso alle parole diritto e rovescio anche a volerle vedere solo in senso tennistico. Pare cioè che lo scatto di orgoglio dei Finiani abbia ridato un senso al termine antitetico dove, almeno per la concezione dello stato, può dirsi che esistono correnti di pensiero che si pongono in antitesi. Tutto questo accade mentre una buona parte dei quivis che ritenevano ormai superato il grande problema della riproposizione dei limiti dell’aborto, dell’immigrazione clandestina e del poliziotto di quartiere, scopre che le vacanze vanno drasticamente ridotte o del tutto abolite, che girano sempre meno soldi e, soprattutto, che le banche hanno drasticamente ridotto il sostegno creditizio. Il calabrese silenzioso ritrova il mare a volte ancora con la schiumetta, lui che certamente non ha mai pensato di berlo ( si sa che l’acqua salata impedisce di respirare se la bevi) se vuole andare in Sila trova i lavori in corso sulla statale e scopre l’efficienza dello stato. Lo Stato, tuttavia, non è solo fatto di agenda politica anzi in gran parte è fatto da uomini e donne che, come notava mirabilmente il Direttore Cosenza, nelle ultime settimane, sembra avere dato sprazzi di primavera proprio in Calabria e a Cosenza. L’editoriale del Direttore mi ha fatto venire in mente un bellissima canzone di Jovanotti in cui si dice che è bello quando il sentimento si sposa con il sesso, quando cioè, come nell’editoriale, all’informazione si unisce un impegno civile di vaga ispirazione tomista. Anche perché, sempre quel quisque incolonnato credo si rincuori nel sentirsi tutelato nei suoi diritti dagli uomini dello stato. Per la Calabria l’estate è anche il momento di maggiore interazione geografica, figli che tornano e turisti che arrivano. Mi viene in mente l’età breve di Corrado Alvaro e quel senso di importanza e di maturazione che il partire rappresentava per il protagonista. Leggevo ieri alcune considerazioni leghiste secondo le quali il progetto politico dei finiani sia proprio quello di porsi quale gruppo che porta avanti le migliori istanze del sud in antitesi proprio alla lega. Sul piano generale si potrebbe dire che era ora visto che un partito di ispirazione centralista, ispirato al simbolo della nazione mal si conciliava con l’idea della padania, mi chiedo, tuttavia, se questo nuovo gruppo sarà in grado di affrontare il senso del messaggio dell’età breve di Alvaro, dell’appuntamento con l’emigrazione e la sua importanza o se più semplicemente saprà rispondere all’ira di Massimo Troisi quando in viaggio gli dicevano napoletano? Emigrato? No in vacanza.

Francesco Siciliano